
Il ruolo delle cellule staminali nella sclerosi multipla, argomento ampiamente dibattuto.
Uno studio recentemente pubblicato su Neurology, dal team di Matilde Inglese, responsabile del Centro sclerosi multipla dell’Università di Genova, e sostenuto da AISM e dalla Fondazione italiana sclerosi multipla (FISM), mostra un’effettiva correlazione tra il trapianto di staminali ematopoietiche e un rallentamento nella progressione della disabilità nelle persone con sclerosi multipla secondariamente progressiva, con attività di malattia.
La tecnica: le cellule ematopoietiche del paziente (si tratta di cellule non ancora differenziate, capostipiti di tutti gli elementi fondamentali del sangue) vengono prelevate e re-iniettate dopo immunosoppressione, allo scopo di “ripristinare” e rendere più tollerante il sistema immunitario, spiegano i ricercatori. Nella sclerosi multipla, infatti, si osserva un’anomala reazione del sistema immunitario verso componenti propri dell’organismo: un trapianto di staminali ematopoietiche autologhe (del paziente stesso) dopo immunosoppressione ha l’obiettivo di eliminare le cellule reattive, “resettando” il sistema immunitario.
Tale procedura fino ad oggi era riservata a persone che non rispondono ai trattamenti standard, con malattia attiva, soprattutto giovani con forme a ricaduta.
Per capire gli effetti del trapianto di staminali e confrontarli con quelle di alcuni trattamenti farmacologici, i ricercatori hanno confrontato l’andamento della malattia in alcune persone che avevano ricevuto trapianto di staminali autologhe (79) e persone in trattamento con diverse terapie modificanti la malattia (DMT), inclusi nel Registro italiano della sclerosi multipla (poco meno di 2000 persone). I trattamenti inclusi erano: beta-interferone, azatioprina, glatiramer acetato, mitoxantrone, fingolimod, natalizumab, metotressato, teriflunomide, ciclofosfamide, dimetilfumarato e alemtuzumab.
Lo studio al momento ha confermato la possibile capacità del trapianto di cellule staminali di rallentare la progressione della malattia nelle persone con forme secondariamente progressive.
Risultati dello studio, dichiarazioni dei ricercatori e fonti disponibili sul sito www.aism.it